Al tempo delle rivoluzioni tecnologiche, fare previsioni sul futuro delle biblioteche è un esercizio molto praticato: se ne fanno in continuazione e sono tutte più o meno orientate verso il digitale. Per questo motivo, l’intervento all’ultimo convengo delle Stelline del designer statunitense Jeffrey T. Schnapp – La biblioteca oltre il libro – risulta molto stimolante. Punto di partenza: confutare, appunto, la narrazione dominante, vale a dire che futuro delle biblioteche è circoscritto all’interno del modello di “biblioteca digitale”.
Secondo il designer, si tratta di una narrazione che strizza l’occhio a una facile previsione di modernità, alla base della quale c’è sempre il solito mix di virtualità, universalità, ubiquità ecc. E per questo motivo è una narrazione che perde di vista un aspetto fondamentale: la “centralità” degli spazi fisici nella costruzione dell’identità delle biblioteche. Spazi entro i quali, anche nel XXI secolo – ne è convinto Schnapp – l’umanità dovrà trovare i propri modi per reiterare (come ha sempre fatto) quelle operazioni di accesso, conservazione, produzione, attivazione e scambio della conoscenza.
Insomma, non siamo alla vigila del trionfo definitivo della Biblioteca di Babele digitale di borgesiana memoria, e non solo – fa notare Schnapp – per una narrazione sbagliata, ma anche e soprattutto per alcune questioni che non tornano rispetto al modello “biblioteca digitale”.
Intanto, le collezioni digitali sono sicuramente una grande risorsa, ma non sono un luogo. E come accennato prima, gli umani per elaborare il sapere hanno bisogno di luoghi. In altre parole, consultare, studiare sono atti complessi che si devono svolgere in spazi articolati e dedicati, non riconducibili alla semplice disponibilità digitale di un numero – anche elevatissimo – dati.
E poi la Biblioteca intesa come archivio universale, è un fraintendimento rispetto al suo ruolo che invece è sempre stato almeno duplice: luogo sia di “connessioni” sia di “collezioni”, con la prevalenza storica del primo. Tant’è che la biblioteca come gigantesco contenitore a scaffali (luogo di connessioni) è un’invenzione ottocentesca, mentre sin dall’antichità le biblioteche sono state molto più vicine al modello del campus con uno stretto contatto tra testi conservati e spazi per lo studio e la comunità.
E in aggiunta, va considerato anche un altro motivo di confusione riguardo al supposto “ trionfo” della biblioteca digitale: la presunta maggiore importanza dell’accesso alle informazioni rispetto alla conoscenza vissuta, acquisita e scambiata. In altre parole, i dati percepiti sempre come più importanti dei documenti, dimenticando che i dati non sono semplici dati, ma estrapolazioni mirate, atti cognitivi determinati socialmente.
Infine, ogni rivoluzione che coinvolge gli strumenti che supportano informazione, causa sempre ridefinizioni / redistribuzioni dei compiti, e mai delle semplici e brusche sostituzioni. Quindi, nel futuro delle biblioteche, accanto al digitale, il libro a stampa è destinato a restare, anche se con un ruolo via via diverso rispetto all’attuale.
Infatti, nella visione di Jeffrey T. Schnapp non c’è posto per una scelta drastica tra digitale o libri a stampa oppure tra database o scaffale. Ma, la vera questione futura riguarda altri aspetti fondamentali: da un lato architettura e design e dall’altro i protocolli cognitivi.
Per concludere, le biblioteche, anche in una società dell’informazione sempre più evoluta, continueranno a fare quello che da secoli fanno: selezionare e preservare – mediante i diversi supporti materiali (dai libri ai bit) – la conoscenza misurandosi, nello stesso tempo, con le esigenze delle comunità alle quali presteranno i loro servizi. E le ragioni del selezionare e preservare continueranno ad avvalersi sia degli antichi filtri (bibliotecarie ed edifici) che dei nuovi (procedure algoritmiche).