Dopo la prima internet che rivoluzionò lo scambio di informazioni e abbatté i “walled garden” del tempo, cioè i media a stampa; oggi è in atto un’altra rivoluzione che attraversa la Rete e che investe questa volta le “piattaforme chiuse” tipo Netflix, Spotify – le quali sviluppatesi e consolidatesi nell’ambito di un modello centralizzato distributivo – vedono ora messa a rischio, con l’avanzare della nuova tecnologia Blockchain, basata su una diversa architettura di rete decentralizzata e distribuita, la loro posizione predominante
Alla base della nuova tecnologia Blockchain, c’è il rifiuto dell’idea di “centralizzazione” che, in generale, per qualsivoglia tipo di organizzazione anche non propriamente informatica, è vista come un concentrato di criticità, in quanto facilmente attaccabile, corruttibile e suscettibile di errori. L’alternativa è quella rappresentata appunto dal design Blockchain, ovvero un sistema decentrato, condiviso e sicuro, in quanto basato su una “certificazione collettiva” garantita da una rete distribuita nella quale ogni nodo è garante della validità dell’intera struttura.
Attualmente, il modello vincente Blockchain è quello delle criptovalute tipo Bitcoin, tuttavia la tecnologia consente, in un senso più ampio, la certificazione, la trasmissione e lo stoccaggio dei dati. I livelli fondamentali di applicazione sono al momento tre: pagamenti, transazioni non solo finanziarie e smart contract, ovvero contratti che possono essere stipulati e/o imposti senza la necessità di una interazione umana. È comunque facile immaginare che la Blockchain sarà in grado – a breve – di rivoluzionare non solo i modelli economici, finanziari, aziendali, contabili, ma anche di trasformare modelli più complessi come quelli sociali a cominciare dal settore cultura.
La società canadese Blocktech lavora da tempo per migliorare la tecnologia Blockchain. Tra l’altro, sta portando avanti un progetto open source molto interessante. In omaggio alla più grande biblioteca dell’antichità, quella di Alessandria, il progetto riguarda un’applicazione per il web denominata “Alexandria” che sfruttando la potenza delle tecnologie distribuite funziona come una sorta di “Bittorrent” ma per l’archiviazione e la condivisione di contenuti culturali.
Il web oggi non ha ancora un indice aperto attraverso il quale tutti possano pubblicare o trovare qualsiasi tipo di informazione. “Alexandria” ha un po’ questa missione: sfogliare il web andando al di là degli attuali “walled garden” delle piattaforme chiuse, in altre parole bypassando il sistema CDN che funziona secondo le regole stabilite dalle società proprietarie di contenuti.
Le specifiche per consentire ad “Alexandria” di fare tutto ciò sono definite da quello che è il vero motore alla base di questa nuova rivoluzione dei sistemi decentralizzati e distribuiti: l’Open Index Protocol. Sono del 2014 le prime dimostrazioni – sul forum della piattaforma decentralizzata Ethereum – della maggiore efficienza di livelli dati condivisi per la gestione di qualsiasi contenuto digitale. Le riflessioni successive hanno portato a focalizzare il problema: la vulnerabilità dei sistemi centralizzati e la loro intrinseca correlazione negativa tra velocità di rete e popolarità dei nodi.
Le caratteristiche dell’Open Index Protocol sono quelle di permettere un sistema aperto senza alcun tipo di autorizzazione per pubblicazione, distribuzione e pagamenti di qualsiasi contenuto digitale. Garantire un aumento delle prestazioni, un quanto una rete distribuita riduce il sovraccarico del sistema annullando le criticità. Infine, aumentare la sicurezza attraverso la difesa collettiva contro gli attacchi. Insomma, nella nuova “open jungle” che si profila, il nuovo protocollo si candita a essere l’infrastruttura del web futuro : perfettamente interoperabile, condiviso, capace di servire tutti i modelli di distribuzione di contenuti da quelli gratuiti a quelli a pagamento.