Il programma Horizon Europe (2021-2027) per la ricerca e lo sviluppo tecnologico, con un budget enorme di circa 100 miliardi, prevede, tra l’altro, per la cultura, il finanziamento di 110 milioni di euro per la creazione, nel biennio 2023-2025, di un Cloud collaborativo europeo per il patrimonio culturale. La soluzione del Cloud Computing è ormai la scelta strategica sia a livello comunitario che nazionale, ed è basata sostanzialmente su tre aspetti ritenuti fondamentali rispetto alle sfide del futuro: autonomia tecnologica, controllo sui dati e resilienza dei sistemi.
L’Italia, che grazie al PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) può disporre di 6,68 miliardi di euro da investire nella cultura, al punto M1C3 1.1 “Strategie e piattaforme digitali per il patrimonio culturale” può contare su un finanziamento di 500 milioni di euro per integrarsi nello spazio culturale digitale cloud europeo attraverso la realizzazione di una “piattaforma cloud per l’accesso al patrimonio culturale italiano”.
Punto fondamentale per il “matrimonio” tra Cultura e Cloud è stato l’inserimento, da parte del Consiglio D’Europa (conclusioni sul patrimonio culturale 21 maggio 2014), delle risorse digitali tra le “forme di patrimonio culturale”. Si è trattato di un cambio di prospettiva basilare che ha cambiato lo status della risorsa digitale: non più semplice replica/copia di un originale fisico, ma “originale” essa stessa. E questo cambiamento non è più dovuto all’eventuale relazione con l’oggetto fisico di provenienza, ma alla relazione intellettuale dalla quale il bene digitale prende forma e da cui attinge nuovi significati trasmissibili.
La struttura attuatrice che dovrà realizzare, entro il 2024, su incarico del Ministero della Cultura, la piattaforma, è l’Istituto centrale per la digitalizzazione del patrimonio culturale – Digital Library che ha già predisposto la cornice nella quale inserire l’infrastruttura: il “Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale (PDN). Il patrimonio culturale italiano da trasferire in digitale è davvero un qualcosa di enorme: si tratta di un “patrimonio diffuso” attraverso all’incirca 27 mila luoghi della cultura sparsi sul territorio nazionale che, nel dettaglio, comprendono quasi 12 mila biblioteche, oltre 9500 archivi e più di 6 mila tra musei, monumenti e aree archeologiche.
Limitando, logicamente, una prima fase di popolamento della piattaforma ai soli sistemi informativi gestiti dagli istituti del Ministero della Cultura, in questo caso si tratta di almeno 770 siti adibiti alla tutela e conservazione del patrimonio nazionale. Con tutta evidenza, già questo rappresenta un primo step assai impegnativo. Si tratta, infatti, di procedere con la migrazione e integrazione nei nuovi sistemi cloud di oltre 37 milioni di descrizioni catalografiche associate a circa 26 milioni di immagini, per poi passare alla digitalizzazione di tutto il restante (corposo) patrimonio ancora su supporto cartaceo. Considerando, infine, che la Commissione Europea, attraverso i programmi Horizon, ha chiarito che i requisiti alla base delle digitalizzazioni che poi entreranno a far parte del patrimonio culturale digitale europeo, devono: restituire l’aspetto “visivo” dei singoli oggetti, collezioni o siti culturali; “costruire storie”, esperienze e contesti culturali; ma soprattutto essere risorse digitali interconnesse, ricercabili con differenti domini e linguaggi. Anche questa prima fase – circoscritta ai soli istituti culturali statali – si annuncia di dimensioni “monstre”.
Insomma, in prospettiva, il Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio nazionale (PDN) di cui la piattaforma è infrastruttura fondamentale, ha l’ambizione di attuare una trasformazione digitale della cultura del paese, a partire dai seguenti obiettivi: sviluppare il potenziale delle banche dati culturali e delle collezioni digitali riconducendo la frammentazione attuale a una prospettiva che restituisca l’unitarietà e la complessità del patrimonio culturale nazionale; garantire l’uso e l’accessibilità a lungo termine delle risorse digitali adottando nuove strategie di conservazione (approccio cloud); semplificare i rapporti con cittadini e imprese, ridisegnando le procedure di settore e portando i servizi culturali in rete; facilitare la crescita di un mercato complementare dei servizi culturali aperto alle start-up innovative, finalizzato a innovare le modalità di fruizione del patrimonio culturale.
La piattaforma digitale di accesso al patrimonio culturale, nel dare il suo contributo alla modernizzazione nella fruizione della cultura, avrà una duplice funzione: di aggregatore e di erogatore di contenuti. Si rivolgerà a tutti i soggetti proprietari e/o produttori di contenuti digitali e nello stesso tempo renderà utilizzabili le risorse digitali a tutti gli utenti finali comprese tutte quelle imprese interessate alla creazione di prodotti e servizi.
Sempre rispetto all’utilizzo della risorsa digitale, il Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio nazionale (PDN), prevede anche un’altra innovazione strategicamente importante: un sistema di certificazione dell’identità digitale per i beni culturali. Finora il patrimonio culturale digitale è stato soltanto correlato al sistema dei beni culturali materiali, ma non ha coinciso con essi. Infatti, non esiste una relazione 1 a 1, cioè a un bene culturale non corrisponde una sola risorsa digitale, bensì si generano delle relazioni molti a molti. Di conseguenza il patrimonio culturale digitale non identifica l’universo dei beni culturali, ma né è piuttosto una rappresentazione/interpretazione. Ora con i finanziamenti PNRR sarà realizzato un sistema di certificazione e per la risorsa digitale accadrà quello che è un po’ accaduto con lo SPID per le persone fisiche. Il certificato d’identità digitale per i beni culturali sarà la chiave abilitante affinché un bene culturale sia riconosciuto, e quindi valorizzato come unico, in tutti i sistemi: informativi, amministrativi, culturali, piattaforme di accesso ecc.