L’altra faccia delle piattaforme: il nichilismo digitale

Le cose non sono andate come l’utopismo tecnologico degli anni Novanta immaginava, le reti digitali non solo non hanno portato più democrazia eliminando diseguaglianze e  gerarchie, ma, al contrario, hanno aumentato le ingiustizie rendendo solo  questo processo molto meno visibile, quasi occulto.

E allora – come sostiene Geert Lovink nel suo ultimo libro “Nichilismo digitale. L’altra faccia delle piattaforme”,  c’è urgente bisogno di capire cosa sta accadendo. Per far questo dobbiamo mettere in campo un nuovo “realismo digitale” in grado sia di svelare sia di indicare diverse prospettive rispetto al vicolo cieco nel quale ci siamo cacciati.

Il fatto è che il capitalismo vincente e dominante  delle grandi piattaforme, sostiene Lovink,  ha generato un sistema di social media che non si limita a pervadere il nostro quotidiano, ma lo condiziona a tal punto da creare una sorta di “tristezza prefabbricata” funzionale alla riproduzione del potere delle piattaforme.

Di conseguenza, il grande problema  che abbiamo davanti è: il sociale esiste ancora al di fuori dei social? E se – come pensa Lovink – la risposta è no. Che fare? Secondo Evgeny Morozov, l’atteggiamento di semplice rifiuto non è sufficiente, ci vuole dell’altro. Per alcuni, si tratta di sostenere il “diritto alla disconnessione”, per altri è invece necessaria una tattica più subdola,  più intelligente, una sorta di sabotaggio delle piattaforme: la falsificazione dei nostri dati in rete (falsi account, false ricerche ecc.) per controbattere con una certa efficacia lo strapotere del capitalismo digitale.

La costruzione del “realismo digitale” indicato dal libro di Lovink,  parte dall’analisi del concetto di piattaforma, dalla scoperta della sua “invisibile” violenza tecnologica e dalla descrizione del funzionamento della bolla di “tecno-tristezza” dentro la quale tutti siamo costretti. E poi la conclude, mettendo a fuoco un’altra questione centrale: l’industria dei dati.

Secondo  Andrew Keen – autore di “Come aggiustare il futuro. Restare umani nell’era digitale”, il vero problema sono infatti i dati – la cui raccolta avviene ormai ovunque – e non tanto più la privacy. Ma, i cinque principi fondamentali indicati “illuministicamente” da Keen per “aggiustare il futuro, non sembrano convincere più di tanto Lovink. Che invece pensa alla necessità – davvero prioritaria – di riconquistare e proteggere uno spazio pubblico.

Per ottenere ciò è fondamentale – secondo l’autore – chiedersi se è possibile una strategia alternativa e un nuovo design per il mondo digitale. Per quanto riguarda la strategia,  un ruolo potrebbe (e dovrebbe) avere l’Europa, l’unica forza attuale in grado di dar vita ad alternative capaci di restituire il controllo ai cittadini puntando su infrastrutture decentrate in opposizione ai modelli “Big Tech”. Per  un nuovo design, sarebbe invece necessario prima svelare e superare l’attuale design basato su tre concetti frutto dell’interazione tra il nostro stato mentale e l’evoluzione tecnologica: 1) la dipendenza tecnologica prefabbricata 2)la distrazione tecnologica prefabbricata 3) la privacy prefabbricata.

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